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Interviste

Per capire il vino bisogna amarlo. Intervista a Massimo Rivetti

By 1 Novembre 2015Settembre 14th, 2018No Comments
Per capire il vino bisogna amarlo. Intervista a Massimo Rivetti 1

 

L’azienda Agricola Rivetti Massimo si trova a Neive, in Piemonte e i suoi vigneti si estendono sulle soleggiate colline della bassa Langa. Se vi dovesse capitare di attraversare Neive (Cuneo) – uno dei 10 borghi più belli d’Italia – vi suggeriamo di contattare l’Azienda Agricola di Massimo Rivetti. Non si tratta solo di buoni vini, quelli saranno riconosciuti dal palato e dal naso ma si tratta di ciò che trasmettono. Di ciascuno spicca la personalità. Massimo riconosce le sue viti una per una, potrebbe attribuire loro un nome, certamente femminile. Le accarezza, le cura, le ama come ogni donna vorrebbe essere amata. Per la famiglia Rivetti produrre un buon vino significa trasformare delle uve di grande qualità. Proprio per questo motivo le viti vengono coltivate nel massimo rispetto della natura e del territorio, evitando concimi chimici ed erbicidi ma utilizzando la falciatura meccanica e ammendanti organici. Il lavoro accurato continua in cantina, iniziando con fermentazioni a temperature controllate dove numerosi rimontaggi favoriscono l’estrazione delle sostanze polifenoliche e coloranti. Nel 2016 sarà possibile degustare i suoi vini biologici.

Massimo Rivetti

Massimo Rivetti

Chi è Massimo Rivetti?

Un produttore di vini di Neive nelle Langhe, area famosa per il Barbaresco, alla quarta generazione. Un produttore che lavora la terra con la moglie Silvana e i figli. Proprietario di un’azienda agricola con molto rispetto del territorio, del terroir, delle piante. La nostra ricchezza è quella d avere delle piante molto vecchie.

Qual è il primo ricordo che ha di lei in cantina?

Il primo ricordo è una vendemmia che abbiamo fatto negli anni ’80 a casa dei miei genitori. Il primo anno quando si vendemmiava il Moscato. Quella è stata la mia prima esperienza di cantina.

Cosa la affascina di più del suo lavoro?

Il mio lavoro è fatto con passione ma è un lavoro duro, un lavoro che richiede molto impegno e tanti sacrifici, però quando la vigna risponde e si arriva poi alla vendemmia, come l’annata di questo 2015 sono soddisfazioni. E questo cancella tutti i sacrifici fatti.

Per chi si accosta per la prima volta ai suoi vini, quale suggerirebbe?

Bisognerebbe sempre parlare con chi per la prima volta vuole assaggiare i miei vini perché il vino è molto soggettivo. Per capire il vino bisogna amarlo. Allo stesso tempo noi abbiamo dei vini che sono molto fruttati, molto piacevoli e questo può essere un primo accostamento al nostro vino. Per chi ama il Nebbiolo, invece, per chi ama il tannino, visto che ci troviamo nella zona del Barbaresco, sicuramente un Barbaresco del Serraboella, un Barbaresco molto particolare. Buono da giovane, ma il meglio di sé lo dà con il passare degli anni. E per stare tra amici una bottiglia di Moscato la apro sempre. Le bollicine sono quelle dolci, frizzanti, sono quelle che creano allegria.

Cosa farebbe assaggiare ad una persona che dice di non capire il vino?

Di fronte ad una persona che non si è mai affacciata al vino sicuramente partirei con vini molto piacevoli, molto fruttati. Proporrei un vino che non sia molto impegnativo, ma che al tempo stesso lasci un ricordo.

Se potesse fare di nuovo un vino del passato, quale annata sceglierebbe e dove andrebbe a farlo?

Noi il vino del passato lo abbiamo già fatto quest’anno. Il 2015 è stata un’annata dei vecchi tempi, un’annata che ci ha dato la possibilità di fare qualcosa in cantina senza usare più lieviti selezionati ma solo lieviti indigeni. Abbiamo lavorato tutto con il cappello sommerso, abbiamo fatto il vino come si faceva una volta. Quest’anno, per l’ultima vigna che abbiamo vendemmiato, abbiamo fatto la raccolta, la diraspatura e la pigiatura in manuale. In questo caso non sono state assolutamente impiegate attrezzature meccaniche. Come annate in particolare mi ricordo il 1978 e il 1982 che sono quelle vissute in gioventù. Queste annate mi hanno lasciato un bellissimo ricordo anche se la migliore che io abbia mai assaggiato è ancora il 1964, per adesso.

Cosa cambierebbe del mondo vinicolo italiano così com’è oggi?

La burocrazia. Sono proprio le piccole aziende, le piccole realtà agricole ad essere penalizzate dalla burocrazia italiana che ci blocca tante risorse.

Matrimonio perfetto tra un piatto piemontese ed un Suo vino.

Essendo amante dei secondi patti potrebbe essere un Bollito misto alla Piemontese con una Barbera che ha una buona acidità per la pulizia della bocca oppure un Brasato accompagnato da un Barbaresco magari di qualche annata un po’ più vecchia.

Un abbinamento vino-cibo riuscito che non si aspettava?

E’ successo anni fa quando con un piatto di salumi e peperoni in Bagna Cauda è stato servito un vino Moscato. Da commensale mi è sembrata una cosa ridicola mangiare dei salumi e un peperone in Bagna Cauda con un Moscato e, invece, mi ha stupito perché è stato un abbinamento molto azzardato ma anche molto azzeccato.IMG-20151030-WA0014

Un sogno nel cassetto.

Il sogno nel cassetto è poter tornare indietro nel tempo agli anni ’40/’50 dove le piante si difendevano anche da sole e con un contenuto uso di rame e di zolfo. Mi piacerebbe molto arrivare a questo ricreando l’ambiente come lo stiamo creando adesso con la semina delle erbe e il ripristino delle erbe che non ci sono più per avere una vigna più sana. Tutti i prodotti chimici utilizzati non vanno più bene. Bisogna stare molto attenti, anche se in molti sostengono che tali prodotti non lasciano residui, io penso che nel vino un residuo ci sia sempre.

Cosa la rappresenta di più?

Ciò che mi rappresenta di più è la sincerità. Dire quello che realmente faccio e non pensare al business. Oggigiorno abbiamo troppe persone che raccontano quello che il cliente vuole sentirsi dire, ma non è la verità. Per quanto mi riguarda penso di essere sempre sincero in tutto quello che dico e faccio.

Testo: Simona Pahontu