Tra pochi giorni l’Ais – Associazione Italiana Sommelier – festeggerà i produttori meritevoli delle quattro viti, conferite per la guida nazionale Vitae. Tra i vincitori molte conferme, ma anche importanti new entry soprattutto per quelle regioni, come la Romagna, in cui si sta ancora cercando di tracciare un profilo qualitativo, in grado di rappresentare la realtà vitivinicola regionale. Accanto agli interpreti più tradizionali come Cristina Geminiani (Fattoria La Zerbina) e Alessandro Nicolucci (Fattoria Nicolucci) a cui va il merito di aver promosso sul territorio nazionale le versioni più riconoscibili di Sangiovese e Albana, si stanno facendo strada alcuni giovani vignaioli, interpreti di una nuova idea del vino romagnolo. La conferma arriva da Giovanni Solaroli, referente regionale della guida Vitae: “ i produttori tradizionali, attraverso i loro vini, hanno saputo tracciare un profilo riconosciuto e riconoscibile del territorio, ma è anche innegabile che vi sia una spinta, un rinnovato fermento proveniente tra le file dei nuovi vignaioli.” Di professione artigiani, come sede hanno deciso di scegliere la Romagna, pur sapendo, e lo sappiamo anche noi, sia una realtà produttiva offuscata dall’immaginario di quel pubblico arroventato al sole della Riviera e dissetato dal vino alla spina. Vignaioli come Katia e Paolo Babini di Vigne dei Boschi, premiati per un coinvolgente Sangiovese, il Poggio Tura, preservano il proprio territorio, applicando metodi biologici o dichiaratamente biodinamici. Il vitigno autoctono amano declinarlo nelle loro personalissime versioni e se questo libertinaggio artigianale li costringe a restare fuori dai disciplinari, ne fanno specchio della loro personalità produttiva. Un’ attitudine che sembra riscuotere il successo di critica, di fatto i loro vini, premiati dalla guida AIS, sono al massimo IGT. Fanno spesso appello a metodi antichi di vinificazione, con macerazioni lunghe come l’Arcaica di Paolo Francesconi. Per l’etichetta è un semplice bianco, ma inerbimento intensivo e il terreno composto da sabbie fini miste a quote di calcare danno, invece, vita ad una Albana di vigorosa acidità ed una trama tannica, assoluto tipico del varietale, poste in stato d’equilibrio grazie ai sapori di frutta matura. Da Sarna dove risiedono le uve, saliamo su per Oriolo dove tra l’incanto di verdeggianti vigneti, il biondo oro del Gentil Rosso e sotto lo sguardo austero della prospiciente torre, Andrea Balducci e Lucia Ziniti hanno realizzato l’idea più sconvolgente che si possa avere di Albana. A guardarli, così giovani e così belli, anche i cuori meno avvezzi alla materia amorosa rischiano un cedimento e se poi si scopre che hanno rilevato l’azienda dal parroco del paese, più devoto allo spirito che alle anime del paesino di Faenza, si rischia il tracollo. Storie appassionanti che si incrociano in vigna, dove cresce il SabbiaGialla, Albana che esaspera le tonalità dorate ed eleva all’infinito la persistenza del sorso. Il nome è una dedica alle evidenti stratificazioni di sabbie molasse di origine pliocenica, esposte a sud-est. Il SabbiaGialla di San Biagio Vecchio è un IGT nato dalla vinificazione di cinque cloni, selezionati più di 25 anni fa dallo stesso parroco, Don Antonio Baldassari e vinificati nel pieno rispetto di ciò che risiede nell’essere Albana. “E’ un vitigno dalla personalità fortissima”, spiega Lucia Ziniti “che snatura e impoverisce con i tecnicismi. L’approccio deve essere dolce e soffice”. Ed è nella sofficità delle potature che punta lo stile di San Biagio Vecchio, mutuato dall’idea di Simonit&Sirch e che nelle vendemmie sta dimostrando, secondo Lucia “notevoli benefici sia allo stato di salubrità delle uve che nei tempi di raccolta”. Terreno e metodi di produzione sono caratteristiche che se da un lato elevano SabbiaGialla tra i must-have del vino, dall’altro lo limitano nel riconoscimento della DOCG. Ma quanto vale una simile indicazione?
Stando a quanto riferito da Marco Montanari, dell’azienda Villa Liverzano di Rontana, premiato per il suo Rebello blend di Sangiovese e Merlot una zona, o dicasi pure il terroir “non può riassumersi nell’impiego di un vitigno o nel rispetto di una formula, che essa si chiami IGT, DOC o DOCG. Oggi un Van Gogh è valutato per i suoi quadri, non se per questi ha scelto le pitture ad olio o le tempere. Quello che fa del pittore un’artista è il suo genio, ovvero la capacità di comunicare un messaggio attraverso l’impiego di un insieme di strumenti, tra i quali vi è anche la scelta delle tecniche di colori”. Così è anche per il produttore in grado di rivendicare la sua libertà creativa. Sarà anche per questo che il giovanotto sessantacinquenne vende la sua tenuta vitivinicola a Radda in Chianti, per vivere la sua personale sfida romagnola: arriva in una terra dalla forte vocazione agricola e comunica con i suoi vigneti ad alberello, che una nuova viticoltura in terra brisighellese è possibile: “Io,” continua Montanari “non credo negli autoctoni e non credo nei disciplinari come mezzo per tracciare un profilo comune e condiviso del vino di Romagna. Credo nelle interpretazioni del singolo artigiano, l’unico che può capire quanto una terra sia vocata per le singole varietà. Lo hanno già fatto gli agricoltori romagnoli, sostituendo la tradizionale coltivazione delle mele in kiwi, frutti più produttivi e più richiesti e dovremmo farlo anche noi produttori, ma in Romagna un simile cambiamento è un dogma, uno schiaffo al concetto, secondo me limitante, di tradizione. E’ per questo che considero i miei vini la libera espressione di Rontana”.
Testo: Ilaria di Nunzio
Ilaria di Nunzio è sommelier professionista e degustatore ufficiale AIS; studentessa di sommellerie presso la scuola di specializzazione ALMA di Colorno (PR).