L’arte di Giuseppe Penone, fino al 26 giugno 2016, scandisce gli spazi sempre più ariosi del museo trentino ridisegnandone le architetture con una serie di interventi site specific. Testimoni di un approccio alla scultura e alla materia elaborato nell’arco di un cinquantennio.
Scultura è il titolo della mostra di Giuseppe Penone (Garessio – CN, 1947) ospitata nelle sale del Mart di Rovereto fino al 26 giugno 2016. La mostra presenta una sessantina di opere del celebre artista piemontese, figura chiave della corrente poverista italiana. L’esposizione curata dal direttore Gianfranco Maraniello è allestita negli spazi del secondo piano, per l’occasione riprogettati e liberati di alcuni dei muri divisori preesistenti: gli stessi, grazie a tali interventi, si trovano a dialogare con le opere presenti, notevoli per mole e peculiari per tipologia. Nonostante in esposizione siano presenti riletture di lavori storici, la mostra dedica particolare attenzione alla produzione più recente, alle opere inedite dell’artista di Garessio.
Fil rouge e fulcro della ricerca di Penone è il rapporto tra cultura e natura, inteso anche come continuità ed appartenenza dell’uomo al mondo naturale, che si traduce alcune volte in impronte e calchi, altre in riflessioni sulle soglie di percezione, sul contatto tra corpo e materia. Elementi che caratterizzano il suo pensiero e il suo operare artistico sono poi il dialogo tra opera ed ambiente (nel caso della mostra del Mart le opere interagiscono, mediante la luce che filtra dai lucernari, con il paesaggio trentino); il rapporto tra gesto fondativo e scultura; l’utilizzo e la sperimentazione di materiali tra loro molto diversi (tra i quali bronzo, rame, cristallo, fogliame) come occasione per riflettere sulla materia e sulla natura; il tempo ed il divenire (soprattutto quello relativo alle ere geologiche e della crescita vegetale); il vuoto e l’invisibile nonché, elemento unificante, l’idea di un’arte che deriva dalla scultura stessa.
[nggallery id=60]Ad accogliere il visitatore è l’opera Spazio di Luce (2008), imponente scultura verticale ancorata alle pareti delle scale. Per fruirne pienamente, è necessario scendere le scale sino al piano interrato e seguire il consiglio dell’artista: guardando all’interno dell’albero, rivestito internamente da una lamina d’oro, il nostro sguardo ne diverrà parte, fondendosi con esso e congiungendo otticamente gli anelli mancanti dell’albero. Salendo le scale fino al secondo piano, lasciandoci alle spalle l’opera Pelle di grafite – riflesso della fronte (2015), arriviamo agli spazi dedicati alla mostra vera e propria, cinque sale delimitate unicamente dai muri perimetrali e dai pilastri ivi presenti. Ci accolgono opere di grandi dimensioni, tra le quali Trattenere 6, 8, 12 anni di crescita (continuerà a crescere tranne che in quel punto) (2004-2016), Gesti Vegetali (1983-1984), Le radici del verde del bosco (1987), Corteccia (1983) e Trappola di luce (1998). Le opere raccontano del contatto, del gesto primario dell’artista che rende scultura la natura. Proseguendo verso il fondo, la piccola sala attigua è dedicata a Il vuoto del vaso (2005); scegliendo invece di passare alla sala successiva attraverso il passaggio subito a destra, incontriamo Corteccia del 1986. Il vuoto del vaso affianca a dei vasi in terracotta le immagini radiografiche degli stessi, le quali ci restituiscono, da un lato, il vuoto e l’invisibile, dall’altro l’azione modellante e la gestualità dell’artista nel processo produttivo. Quest’ultima tematica è ripresa nella serie Corteccia, costituita, tra gli altri elementi, da volti di bambino (di Ruggero e Caterina, i figli di Penone) in terracotta. Ogni elemento della serie è stato creato a partire dalle mani dell’artista imposte sul viso dei figli, che ne hanno così conservato la forma prima di toccare la creta. L’inserimento di dettagli in maiolica evidenzia e isola singoli gesti, singole impronte dell’artista.
La sala successiva è dedicata anch’essa ad alcune importanti opere dell’artista: da menzionare sono l’imponente Sigillo (2012), Anatomia (1994), la serie Pelle del monte (2012) e Avvolgere la terra – corteccia (2014), Spine d’acacia – contatto, giugno 2006 (2006). In questa penultima sezione, emerge con forza il tema del tempo geologico e del suo lento scorrere, la cui memoria è intrappolata e si manifesta in particolar modo nelle venature del marmo. A ridosso dell’ultima sala si trova Soffio di foglie (1979), opera raccontata nel video presente nella sezione successiva, dove, mediante le azioni e il corpo dell’artista, è possibile assistere al processo attraverso il quale Giuseppe Penone ha creato i Soffi. Il percorso espositivo termina, così come era iniziato, con la riflessione sul legame tra gesto, impronta e memoria, richiamando altresì il rapporto tra natura e cultura e l’idea di un tempo e di uno spazio ciclici e potenzialmente infiniti in una dimensione in cui arte e vita si incontrano, nella quale chi guarda non è spettatore, o attore, è parte di un tutto.
di Jlenia Nicol Fedrigo